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Innanzitutto, grazie, Daniele, per le tue gentilissime parole. Mi fa molto piacere che il gioco ti sia piaciuto e che lo consideri, in qualche modo, “completo”.

Non so se sia l’esperienza che tu dici che ho, ma ho semplicemente cercato di concentrarmi su un obiettivo di design semplice (il poco spazio in parole e pagine mi ci ha sicuramente costretto) e che mi parlasse molto in quel periodo (la pandemia incipiente e il mio amore per le storie d’amore).

Sull’uso dei tarocchi, credo che l’idea iniziale fosse quella di creare un gioco “elegante”, che usasse solamente i ventidue arcani maggiori, senza andare a cercare una loro funzione numerica o matematica. La scelta di escludere gli arcani minori è dipesa anche da questo: volevo un immaginario forte, come quello degli arcani maggiori, e non un apporto numerico, come quello degli arcani minori. Credo che l’ispirazione principale su come usarli mi sia venuta da Hell 4 Leather (Joe Prince, 2010): volevo qualcosa di semplice, evocativo, che facesse rima con sé stesso. Dove con “che facesse rima con sé stesso” intendo che tutto doveva tornare: ogni arcano doveva essere usato e legato tra l’unica scena di gioco e, poi, la risoluzione vera e propria, nel finale. Ecco perché le domande si richiamano l’un l’altra.

Sulla sintesi, posso dirti che è mia intenzione cercare di tenere il gioco breve e immediato anche nella versione finale. Probabilmente, aggiungerò qualche spiegazione che si rivelerà necessaria e il gioco finirà per crescere di qualche centinaio di parole, ma non vorrei strafare. Questo è un gioco nato per essere giocato con i passanti che trovi per strada agli eventi di gioco di ruolo, e dovrebbe durare tra mezz’ora e un’ora circa. Per ora, le due prove che ho fatto mi hanno dato conferme in questo senso.

Se vuoi provarlo, sappi che in questo periodo, come tutti, sono abbastanza libero. Insomma, sentiamoci e mettiamoci d’accordo per quando vuoi.

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Capisco benissimo cosa intendi per "far rima con sé stesso", io lo chiamo "tener il gioco in una mano": quella sensazioni che tutto torni e che non parta in mille direzioni totalmente asincrone con lo scopo del gioco. E anche il fatto che tu abbia dato una risoluzione in qualche modo certa del finale mi garba molto, perché troppi giochi danno per scontato che noi sappiamo finire le storie — cosa che ritengo invece molto difficile. 

Mi piacerebbe molto provarlo! A dispetto degli altri, essendo agli sgoccioli di un percorso accademico (un master), mi ritrovo parecchio impegnato — ma l'occasione la creiamo, dai.

Il finale chiuso è spesso tipico del mio design, perché io ho bisogno di chiudere le storie per sentirle come significative e, spesso, in quella chiusura, cerco proprio quella distensione tematica che sento “far rima”. In questo modo, Un ultimo bacio alla mia ragazza morta è un gioco che parla di fidarsi in amore quando hai tutto da perdere.

Per metterci d’accordo su quando giocarlo, ti contatto in privato. 😉